Senza uniforme

luglio 31, 2012 at 7:43 pm

Martedì 24 luglio arriva una delegazione speciale della Universal Peace Federation, composta da ragazzi provenienti da diversi paesi europei, guidata da K un ragazzo di 23 anni dagli occhi e i capelli neri. Apparentemente è un ragazzo come tanti altri capitato qui ad At-Tuwani per conoscere la sua storia e la forza della nonviolenza, invece K è israeliano e solo da qualche settimana ha concluso il servizio militare.
Ad aprile di quest’anno ha “servito” proprio nell’area delle colline a sud di Hebron, era in servizio per la scorta militare agli studenti di Tuba e Maghayir Al Abeed, mattina e pomeriggio, più o meno come noi, con la differenza che lui si è trovato ad osservare questo ruolo dalla colonia di Ma’on.
Per noi è già una persona speciale e coraggiosa solo per il fatto di essere ritornato qui senza una divisa che lo identifichi. Come se per un giorno questo giovane uomo avesse messo in un angolo una parte di sé, del suo passato recente, della sua vita, e si fosse rimesso in gioco.
Iniziamo la delegazione portando tutto il gruppo al famoso “albero della nonviolenza” dove At-Tuwani appare in tutta la sua bellezza, resa ancora più affascinante dal clima di tranquillità che porta il Ramadan. Raccontiamo la situazione del villaggio e dell’area, l’inizio della presenza di Operazione Colomba e il nostro lavoro.  Poi li portiamo a far vedere la strada che i bambini di Tuba e Maghayir Al Abeed ogni giorno percorrono da e per la scuola accompagnati dalla scorta militare istituita nel 2004, per salvaguardare i bambini dalle continue violenze e intimidazioni, da parte dei coloni nazional religiosi dell’avamposto israeliano di Havat Ma’on.
Anche in presenza di K affrontiamo il discorso dell’inadempienza da parte dei soldati relativa alla scorta, di prendere le parti dei coloni, delle demolizioni delle case, degli arresti, e in generale delle conseguenze inumane che l’occupazione militare e civile israeliana porta con sé.
Davanti a questo scenario gli occhi di K sembrano presenti e assenti nello stesso tempo: le nostre parole lo scuotono ma è uno scuotersi razionale, non ci interrompe mai, rispetta il nostro lavoro e le nostre testimonianze. Non è facile farsi vincere da sensazioni contrastanti che possono mettere in discussione tre anni della sua vita a servizio dello Stato, di una certa idea di Stato.
Da At-Tuwani il gruppo viene portato al villaggio Al Mufaqarah, dove è in atto la campagna “Al Mufaqarah R-Exist” volta a promuovere il diritto dei palestinesi a continuare a vivere nelle loro case, ad avere il diritto ad un’esistenza normale costruendo nuove abitazioni per la famiglie locali.
Qui i ragazzi conoscono M. uno dei leader del villaggio e del Comitato di Resistenza Popolare delle colline a sud di Hebron. Nonostante sia iniziato il digiuno e sia molto caldo M. li accoglie con il suo indistinguibile calore. M. sa molto bene l’ebraico e racconta la storia del villaggio a K che traduce al gruppo in inglese. Sentirsi parlare nella propria lingua lo ha stupito e messo a suo agio. É come sentirsi a casa in un villaggio palestinese; ha reso la comunicazione e lo scambio di informazioni possibile. Poi i ragazzi lavorano alla ristrutturazione della moschea demolita dall’esercito israeliano e ricostruita dai palestinesi a fine novembre 2011. Si forma una catena umana di persone che si passano secchi di sabbia; K è il primo della fila, gomito a gomito con i palestinesi. In seguito M. li porta a fare un giro nelle grotte dove vivono alcune famiglie e tutti, compreso K, rimangono affascinati da quel modo di vivere semplice e umile.
Ritorniamo tutti ad At-Tuwani per il pranzo cucinato da alcune donne che fanno parte della Cooperativa.
Prima che il pranzo termini arriva H, il leader del Comitato ed uno dei primi che ha iniziato la resistenza nonviolenta.
Li invita all’interno del piccolo museo dove ci sono delle foto che rappresentano stralci di vita sotto occupazione. Dopo una rapida panoramica H si ferma e domanda: “è per tutti la prima volta al villaggio?”. H sa di K. Tutti rispondono di sì. Allora H deve essere più diretto. Diretto ma non invadente. In quel momento il suo sguardo sorregge quello di K e con voce ferma ma calda gli dice: “Io so che tu sei stato qui, che hai svolto il servizio militare in questa zona, come puoi vedere senza divisa la gente ti guarda con occhi diversi. Ora non sei un soldato, ma un nostro ospite, e sarai sempre benvenuto, sarete sempre benvenuti, questo è anche il vostro villaggio”.
Noi siamo spiazzati ed emozionati. Il calore irradia all’interno del museo, tutti gli schemi sono rotti. Ci si parla con il cuore e fa a tutti un gran bene. K ha gli occhi fissi, due uomini, due storie completamente diverse, un conflitto, tutto sembra lontano, distante da questo piccolo villaggio di pecore e sassi.
Ad H vengono rivolte molte domande, sono tutti molto curiosi della sua scelta. Ed alla domanda: “ma tu che cosa vuoi”? H risponde: “che tutti possano vivere in dignità”. K annuisce con la testa.
Vorremmo che K ritorni presto ma sappiamo che ciò che ha raccolto oggi ha bisogno di tempo per sedimentarsi. Lo ringraziamo perchè si sta mettendo in discussione e perchè ci offre l’occasione per abbattere molti stereotipi sui militari. Oggi non abbiamo visto un soldato, ma un giovane, con gli occhi e i capelli neri, come tanti altri suoi coetanei. Oggi qualcosa si è spezzato nel circolo della violenza.
Per noi è stata una mattinata piena di emozioni e ci sentiamo privilegiati ad aver assistito e ad essere parte di questa forza chiamata nonviolenza.

Ale e El.

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